Confessione: Ferdinand Bardamu
7 anni fa, attraversando la piazza del mercato nella sospensione della sera, il teatro naturale che è il quartiere in cui decisi poi di abitare, raccontò perché il viaggio doveva iniziare. 7 anni e il viaggio è arrivato alla banchina del primo porto. 7 anni che sono già stati un viaggio attraverso la città, attraverso la vita. La seconda che mi è stata data di abitare.
Quando dico che il “Mercato dei Poeti” è un’idea che già esisteva nella natura di Porta Palazzo, faccio riferimento a una visione platonica del rapporto tra la generazione dell’idea e l’atto creativo dell’artista che se ne fa tramite. L’immagine originaria che mi colpì attraversando la piazza quella sera di 7 anni fa, fu quella di un teatro sospeso pronto ad essere abitato. Vederlo realizzarsi, in una congiunzione di apporti spontanei di artisti di tutti i tipi, è stata un’emozione superiore ad ogni possibile previsione o descrizione.
Il “mercato dei Poeti” non è un evento. A tutti gli effetti è un atto artistico collettivo, fondato su un dialogo serrato con tutti gli attori che sulla piazza costruiscono gli ingredienti che rendono questo quartiere unico: gli artisti, le associazioni del territorio, i mercanti dell’ortofrutta, i montatori dei banchi, gli abitanti del quartiere e i visitatori estemporanei. Parla la lingua del territorio che lo genera: è multiculturale, incorpora le diversità, si arrangia con poco, improvvisa soluzioni, accoglie gli ultimi, restituisce al quartiere, in altra forma, uno specchio in cui si riflette il suo genius loci, rivendicando la fierezza della propria unicità.
Nel processo di realizzazione si sono creati una serie di cortocircuiti interessanti. Sono saltati alcuni paradigmi consolidati. Sia lato procedure amministrative sia di ordine intellettuale tra gli artisti. Gli unici che non hanno avuto tentennamenti o dubbi sono stati proprio gli abitanti del quotidiano della piazza. Nei giorni della restituzione sono anche uscite urgenze di definizione di quel che è stato rispetto ai temi politici dell’agenda locale.
Definire gli ambiti, allocare le posizioni sullo scacchiere, rivendicare una contrapposizione quando si parla di poesia significa togliere alla poesia la propria natura di rivoluzione inafferrabile. Il “Mercato dei Poeti” non ha bisogno di descriversi come un atto politico. È un atto politico. È assunzione di responsabilità nei confronti della propria Polis, sia essa un quartiere, una città o il mondo stesso. La poesia si ribella al suo esilio dal campo di battaglia, ma il suo territorio non è lo scontro ideologico.
Amo la poesia per la sua capacità di raccontare il quotidiano ribaltando le consuetudini. È il cambio di punto di vista che racconta l’essenza di quel che ci passa attorno o dentro. Poesia è monito contro la distrazione. È c’è distrazione anche nella presunzione di impegno. A forza di guardare il conflitto tra le punte delle proprie scarpe, dimenticando di alzare lo sguardo altrove, rischiamo di non accorgerci che giriamo attorno senza andare da nessuna parte.
Domenica io posso solo dire di essere grato a tutti i poeti/mercanti e a tutti quelli che nel quartiere hanno fatto in modo che questa messa fosse possibile. E sono grato anche a tutti gli interventi che si domandano, pure in forma critica e deterministica, quale debba essere il ruolo dell’artista e la sua responsabilità nei moti di trasformazione dello spazio attorno a noi. Domenica la poesia ha alzato il tiro del mio sguardo e non mi sono sentito solo. Finisse qui sarei già col cuore a posto. Di sicuro non siamo al termine della notte, ma il viaggio che ci manca ha rotte che sarà il mercato a tracciare. A noi scegliere se salpare ancora o fermarci alla meta che meglio si addice alle traiettorie del poeta che coltiviamo dentro.
Fotografia di testa: Stefano di Marco