Manifesto

Il mercato è luogo della comunità, laboratorio di convivenza, di condivisione, di scambio, di incontro. È luogo fisico allo stesso tempo nuovo e antico, forma primaria della genesi di una civiltà, primo consapevole atto di teatro. Tra i banchi si parla con le mani, si sceglie con gli occhi, l’educazione e le maniere sono una forma necessaria a concludere un accordo.

Un mercato vuoto è un teatro vuoto, un teatro sospeso. Porta Palazzo, dalle 21 a mezzanotte è un teatro aperto e sospeso, in attesa di essere abitato.

GLI ELEMENTI DI QUESTO TEATRO

Lo scambio

Per le verdure si paga al chilo. E per la poesia? una forma nuova di scambio più vicina al baratto, si può lasciare un offerta in denaro o cercare nel borsellino della propria fantasia. Scambiare favori, idee, oggetti, tempo, inviti a un viaggio. Lo scambio al banco della poesia è misura di valore della propria poesia… è un atto poetico.

I mercanti

Il “mercante” è colui che si prende a carico un banco, il suo allestimento, la merce poetica preparata allo scambio. Sul loro banco stanno azioni artistiche, bisbigli, manipolazioni, magie, canti, narrazioni pronte per essere vendute… per essere scambiate. I “mercanti sono artisti? Anche, ma non solo. Il banco è aperto a chiunque dà dimora interna alla poesia.

I compratori

Non solo spettatori, non solo pubblico. Chi passa per questo mercato è un popolo, una comunità, un “consumatore” lento, un attore a sua volta dello scambio, un amante della “haute cousine” poetica. . Partecipare significa giocare, prepararsi alla sorpresa, sorprendere, giocare, donare.

IL PERIMETRO DI QUESTO VIAGGIO

Vivere uno spazio significa assumerne, nel tempo, i connotati di quello spazio. Vivere uno spazio significa anche essere consapevoli che diventiamo noi stessi matrice e segno riconoscibile di quello che lo spazio racconta a chi lo transita. Scegliere una città, un quartiere, una casa è un’elezione che è principalmente un atto d’amore. Questo manifesto parla dunque d’amore e questo atto d’amore si declina a partire dalla forma di un mercato. Il mercato da cui parte questo viaggio è quello di Porta Palazzo, Torino.

Mai come quando si transita per un mercato, dentro i colori e le grida che accompagnano la natura dello scambio, è facile riconoscere i tratti della propria origine. Nel mercato le origini si mescolano a tal punto che generano comunioni e le comunioni nature sempre nuove. Prima di ogni religione e molto prima dell’economia globale, sono i mercati della frutta, della verdura, della carne, del pesce, degli abiti appesi, delle scarpe d’ogni foggia che rappresentano il sacro comune denominatore di ogni comunità umana. Sia che esso si declini nel baratto sia che si accetti la sua rappresentazione in numeri su moneta.

Il mercato di Porta Palazzo è l’epifania delle culture. Chi l’ha transitato anche solo una volta lo sa bene. Ma non è la città che determina la natura. La natura corre di traverso, di città in città. Se abitare il mercato è sentirsi a casa, in ogni angolo del mondo, attraversare un mercato è ritrovarsi a casa. Ovunque, nelle differenze, nelle lingue, nella merce sul banco, il mercato è casa.

Parlare di mercato e di poesia non è contraddizione. Se l’atto di creazione artistica è esperienza intima, ogni artista si confronta nel suo percorso con le dinamiche della circuitazione del prodotto artistico e dei suoi intermediari. Il prodotto artistico è diventato sempre più prodotto che ragiona in termini di mercato. Questo assunto vale anche per la forma più estrema di espressione, quella libera, in strada, senza mediatori, senza promozione, nell’incontro casuale ed estemporaneo. Ma anche per l’arte libera un giorno non vale l’altro. Un’ora non è la stessa di un’altra. Una posizione nella città non è favorevole come un’altra. Sono considerazioni “di mercato” necessarie se di fronte a te c’è un cappello. La strada diventa il proprio mercato individuale. L’atto solitario tra la folla. C’è ricchezza in questa solitudine, ma non la stessa capacità rigenerativa della moltitudine.

Noi artisti siamo creatori, siamo artigiani, siamo perenni allievi, siamo sperimentatori, siamo pionieri, siamo manager, siamo operai, siamo comunicatori, siamo burocrati e amministratori, siamo ladri, siamo santi. Artisti siamo e generatori di poesia, ma necessitiamo nondimeno di poesia. Ci troviamo così a creare la poesia che nutre gli altri. Ma siamo sempre davvero in grado di ricordarci di apparecchiare la mensa anche per il nostro pasto?

Questo manifesto è un invito a generare una sospensione alla frenesia del fare. È un appuntamento a un gioco collettivo. Ritrovarsi vestiti solo d fibra poetica. Fare come se non ci fosse il domani delle necessità economiche. Essere noi a generare i colori, gli odori, le grida, le origini culturali, le allusioni poetiche, i mondi multiformi che il mercato della mattina crea intorno alla circolazione del cibo per il corpo. Essere noi quello che nel mercato ritrovi come la via di casa. Non c’è davvero limite ben definito tra chi dà e chi riceve. Il mercato non è addizione di elementi, ma il dare e prendere si impastano nella generazione di un qualcosa in più.

Il mercato degli atti poetici vuole dunque essere uno spazio di libero scambio, per la rigenerazione degli appetiti dell’anima. Un territorio sicuro dove poterci mettere in difficoltà, in quanto artisti, per dare alimento alla fiamma creatrice. Divorati. Divoranti.

Il mercato di Porta Palazzo vive, nella frenesia circolare del suo perenne rinnovarsi, una sospensione quasi magica. La sera, tra i banchi allestiti, ancora spogli delle merci del giorno dopo, pare attendere un corpo che animi il silenzio. Questo manifesto è un invito a riempire questo spazio di silenzio con i nostri corpi d’artista e con la merce più cara: la poesia.