Sara Valle alias Miss Godot
Sono di fronte al sole di Molfetta mentre scrivo.
Il mare ammicca con qualche riflesso e solo ora posso finalmente respirare quello che ho vissuto… Questo maggio tanto ricco… quella domenica…
Ora che finalmente ho tempo di appoggiarmi sorniona al sole come un gatto.
E anche se non sono in vacanza un po’ mi ci sento.
E anche se non sono a casa, come spesso mi accade nel sud del mondo, un po’ mi ci sento.
Posso scrivere ora, lasciare che i ricordi si facciano bolle briose e piano piano salgano effervescenti.
Cercando le parole giuste ne userò forse qualcuna di troppo, ma non mi importa. Chi ha fretta non scrive e non legge, io oggi non ho fretta, scrivo per me, per chi, come me, vuole fermarsi in un attimo senza lancette. Anche il mare respira senza fretta e non mi conta le parole mentre mi ossigena i pensieri.
Lascio che mi facciano il solletico, mentre le immagini si accavallano e rimescolano come le onde.
Posso scrivere dell’esperienza intensa e piena di emozioni che è stata il Mercato dei Poeti, solo ora che ho lasciato che mi si fermentasse dentro…
La poesia mi ha rapito, ammaliato ed ipnotizzato sin dall’infanzia.
E’ ciò che più di ogni altra cosa mi ha spinto a scrivere, tanto che i miei diari erano pieni di pensieri poetici e filosofici più che di racconti del quotidiano; giocavo, giocavo tanto, con le rime, con le parole…
Ricordo che la prima l’ho scritta per la mamma. Ed era bello vedere che lei era tanto emozionata e contenta ed io ero riuscita a dire anche quello che a voce proprio non riuscivo!
Ed era bello poter esprimere l’amore che sentivo e che mi esplodeva in petto: un vulcano di bene che doveva eruttare in qualche modo, senno mi faceva tappo dentro! E mi sarebbe sembrato di implodere di troppo amore se non gli facevo fare i fuochi d’artificio con le carezze, gli abbracci e le poesie.
La poesia mi ha preso per mano e mi ha chiesto una voce.
Una voce capace di arrivare efficace alle orecchie di chi ascolta e tace.
Io che non ne avevo altre, gli ho dato la mia.
Le poesie studiate a memoria tra i banchi elementari furono il primo palco, il primo passo verso il teatro. Ché se andavano dette forte, ad alta voce, era giusto dirle bene, valorizzarne tutta la profondità, ogni sfumatura. “Figlio mio, la vita per me non è stata una scala di cristallo” diceva una madre con la bocca da bimba davanti alla cattedra.
Altre volte si inginocchiava la piccoletta sotto una croce immaginaria e si spostava per dare voce alle tre Marie.
Alla maestra, che era una brava maestra (di quelle come dovrebbero essere tutti i maestri: esaltatori di peculiarità e talenti, non soppressori ed omologatori), piaceva quella bambina già un po’ strana, le piacquero molto le sue libere espressioni ed interpretazioni, così le parlò del teatro.
Teatro… Ne sapeva ben poco quello scricciolo allora, ma grazie a quella parola un po’ magica, a quell’apriti-sesamo iniziò un lungo viaggio.
Un viaggio che mi ha portato, molti anni dopo, a Roma, a costruire uno spettacolo dedicato a Trilussa e alle sue poesie presentate come pietanze in un Menù poetico.
Trascorsi altri anni, mi ritrovai ad organizzare a Torino “Assaggi d’arte” alla ricerca di una proposta che, all’interno della stessa cornice, potesse far convivere e valorizzare reciprocamente diverse discipline artistiche: musica, canto, pittura, teatro-danza, teatro di figura; dove come su una tavolozza si mischiassero comico e drammatico, prosa e poesia.
Ritengo sia una ricchezza lo scambio, la collaborazione, la condivisione, così come le rispettive differenze.
Credo sia un dovere, in un mondo e in una nazione così poco meritocratici, valorizzare gli artisti meritevoli che ci circondano; dargli fondi, spazi, possibilità. Unirsi per crearne di nuove.
È un po’ questa la missione di Mrs. Godot: raccogliere ciò che trova di bello, che sia un oggetto, un momento, un ricordo, una poesia o un’anima, che sia fuori di sé o magari gli nasca dentro.
Trovarlo, guardarlo, amarlo, prestargli il suo vestito migliore e condividerlo.
“Assaggi d’Arte” me ne ha dato la possibilità, tutti vestiti da camerieri servivamo le portate artistico poetiche descritte sui menù che il pubblico trovava sulla sedia entrando.
C’era chi dipingeva mentre qualcuno cantava, ho visto sorrisi e commozione, qualche imprevisto tecnico-logistici ma tanta magia!
Molti anni dopo ritrovo la stessa magia, lo stesso spirito di condivisione, la stessa ricerca di bellezza, di arte, poesia. La cornice è il mercato più colorato di Torino, un luogo che invita allo scambio in tutte le forme, all’incontro, al baratto. Porta Palazzo è il polo dove popoli disparati si incrociano, dove è più facile parlare di cultura, culture, e differenze. Ché sono queste diversità l’ingrediente che rende così saporita e fantasiosa questa piazza multiforme e le vie che la circondano.
Quando ho scoperto questa iniziativa mi è sembrato che tutto tornasse, come un fil rouge che a tratti si nasconde tra la trama e poi riemerge.
Il Mercato dei Poeti mi invitava a nozze! C’era la fantasia, la creatività, la libertà in come e cosa proporre, la ricerca, la possibilità di condividere pensieri, filosofia, idee, poesie, e altre piccole cose belle trovate sul cammino… C’era lo scambio, la scelta di esserci, la partecipazione, che qualcuno ha chiamato libertà, la curiosità verso le altre proposte (tanto che avrei voluto scindermi ed essere al tempo stesso pubblico e mercatara) e la curiosità verso la risposta del pubblico: che non poteva essere migliore.
Il luogo popolare, ancora semi libero, semi anarchico, fiero delle sue differenze, non poteva essere più adatto. Così come la modalità della proposta, ed il tema libero con inclinazioni artistico-poetiche.
Insomma c’era tutto! C’era anche qualcosa che sempre di più cerco con il passare degli anni: l’incontro diretto, intimo, occhi negli occhi con il mio interlocutore.
È stato questo per me il fulcro dell’esperienza di quella serata, momenti spartiti in un pic-nic di sorrisi, pupille pronte ad affondare le une nelle altre, bisbigli di poesie dette come in segreto, per poche orecchie e uno spogliarello d’anima sotto banco per poche paia di occhi.
Un incontro Unico perché quella sera vi ho guardato negli occhi ad uno ad uno ed ognuno ha scelto la sua storia… Ho avuto un solo “acero rosso”, un solo “drogato”, un solo “mio caro uomo”, un solo “déjà-vu”.
Solo Te ho portato in mezzo alla piazza per cantarti di cuore “Gracias a la Vida”.
Il 12 Maggio per me è stato come un sogno… Il sogno di una notte d’inizio estate, una notte stellata fatta di momenti condivisi, sguardi, sorrisi.
Una tavolozza di emozioni dietro/davanti/di lato e soprattutto sotto il bancone!
Fare i bambini sotto il tavolo, ridere della vita, incontrarsi come in segreto e dirsi una poesia.
L’altro è un po’ più vicino, fa un po’ meno paura, un po’ mi assomiglia, regala qualcosa.
Tu cosa offri stasera?
A me bastano i tuoi occhi, il tuo tempo, una moneta se vorrai.
Chiudo gli occhi… banchi come lucciole e cicale che raccontano storie…
Un Grazie a chi c’era,
a chi ha organizzato,
a chi ha partecipato
e a tutti quegli occhi…